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Un’isola in movimento

Chiazze di folla occupavano la piazza, piccoli assembramenti casuali, con gomiti stretti l’uno contro l’altro in uno spazio noto, come se oltre quella linea di confine ci fosse un pericolo in agguato. Lui cercava di schivare i capannelli, perché quel giorno si sentiva un’isola, anche se quegli assembramenti di volti, corpi, gesti e parole così vicini a lui, gli facevano sentire la sua mente in attività. Gli sembrava di nuotare in un mare mosso, scegliendo, con l’aiuto del suo pensiero, un’onda calma nella quale cercare un approdo felice.
Mentre la gente parlava, continuava a camminare affilando l’udito, insinuandosi in realtà fin troppo uguali tra loro, ma dentro quella monotona riproduzione dell’umanità, per uno strano effetto di contrapposizione, egli cavalcava pensieri originali e ironici. Man mano, s’improvvisò, senza nemmeno accorgersene, nella regia di piccole pièces, dove le parole udite gli servivano da canovaccio per inventare dialoghi con risvolti completamente diversi da quelli che aveva sotto gli occhi.
“Non devi prendertela, è fatto così, non si rende conto di ciò che fa’”, mentre lui si divertiva a pensare che quella persona dicesse esattamente il contrario, con un tono e uno sguardo diversi, poi la immaginava vestita in tutt’altro modo e se dall’aspetto credeva di intuirne il mestiere, lo metteva a fare, sul suo palcoscenico immaginario, un’occupazione diametralmente opposta. Più si avvicinava a quei capannelli, stando sempre attento a non esserne sfiorato, più questo gioco s’infittiva, raccogliendo battute e argomenti all’ordine del giorno. I circuiti principali dei dialoghi roteavano su due perni fissi: amore e denaro. “Niente di male”, pensava tra sé, ma ciò che rendeva tutto estremamente rigido ai suoi occhi erano le soluzioni, che quelle bocche proponevano, per riuscire a navigare nelle sventure prodotte e dal primo e dal secondo, soluzioni che gli sembravano senza forza e senza novità, delle specie di prodotti sotto vuoto, insapori, ingerite solo per bisogno di sopravvivenza. Davanti a quel copione a trama fissa, la sua mente slittava verso universi improbabili, irrompendo, ironica, a tratteggiare fisionomie fantastiche, eroi ed eroine capaci di ben altre parole e azioni. Egli aveva bisogno di quel vitale espediente per non sentirsi un numero abbandonato sul selciato di quella splendida piazza con fontane seicentesche, sagomate dal dirompere delle pietre e del genio che le aveva create. Al tramonto, quelle silhouettes si allontanarono come fragili fili rimossi dal vento, andandosene ognuno con le proprie gambe, anche se a lui sembrarono fili sottili di carta leggera troppo evanescente per potergli ricordare il senso corposo e reale della vita. Così solo, si guardò intorno e finalmente sentì che quell’approdo felice di cui era in cerca, era dentro di lui.