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Tutti i pericoli dell’alta fedeltà

Roma – Ciack si scrive – 13/03/2006

In un salone di 50 mq aveva disposto ogni ben di Dio ad alta fedeltà. Dopo il lavoro, ritornava a casa e si chiudeva in quella stanza con la vista e l’udito immessi nei circuiti della più avanzata tecnologia per un sicuro orgasmo multimediale. Tre stereo, due megaschermi a cristalli liquidi, tre PC di ultimissima generazione, vari cellulari, quattro macchine fotografiche digitali: tutto selezionato per una riproduzione del mondo in nitida realtà virtuale.
Al mattino, prima di uscire, controllava tutte le spie luminose lasciate in stand by, col divieto assoluto, alla moglie, alla figlia e alla domestica di spegnere gli interruttori. Le tre donne, dopo aver tentato di capire il perché di questo ostinato stand by si erano rassegnate a pensare che questo “perché” fosse motivato da precipue ragioni di carattere tecnologico, dettate da una perizia tecnica che non potevano comprendere.
Tuttavia, nutrivano, in silenzio, un certo senso di meraviglia. In seguito, i divieti, si erano moltiplicati al punto che non erano più solo le spie a dover essere lasciate in stand by, ma la stanza stessa, categoricamente chiusa a chiave in sua assenza.
I giorni passavano e i ritiri di lui fra quelle mura diventavano sempre più frequenti, a ispessire uno strato di epidermide in crescita su una vecchia pelle, quella di quando, rientrato in casa, anni prima, aveva infilato le pantofole e letto il giornale, dando confidenza ai suoi familiari solo per cose di necessaria amministrazione.
Adesso, seguiva le notizie via internet, per cui mentre, prima, la sua floscia sagoma, abbandonata sulla poltrona, era stata visibile, ora tutto era, sempre in stand by, chiuso li dentro: di lui non v’era più traccia…
Ma un giorno, ciò che fino a quell’istante era stato fonte di stupore per la moglie, si trasformò in qualcosa che lei, ignara, aveva tenuto in stand by dentro di sé, per molto tempo: approfittando di una trasferta di lavoro del marito, era entrata in quel “tempio” inciampando in un piccolo dizionario di informatica dove, proprio alla voce “stand”, aveva scoperto anche il significato della voce stand-alone:
dispositivo funzionante in modo autonomo, non essendo connesso o dipendente da un computer principale. A queste parole, la sua mente aveva ricevuto un impulso chiarificatore improvviso, dilatando una visione, finora confusa, con una nitidezza ben più esaltante di quella data dalla realtà virtuale in cui si rinchiudeva suo marito: quella sera stessa, al suo rientro, con un meccanismo appunto del tutto autonomo dalla sua vita di moglie, gli disse: “Ho intenzione di staccarmi dal mio computer principale”. “Ma quale, se non hai mai premuto un tasto in vita tua?”. “Appunto, è giunto il m omento, lo faccio adesso… me ne vado!”.