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La scatola mediatica

Roma – Ciack si scrive – 28/07/2006

Da anni scriveva testi per soap opera e fiction, o meglio, all’inizio aveva scritto, mentre, ora, digerito ben bene il meccanismo, annotava solo dei punti, degli incroci di trama e su quel modello procedeva variando pochissimi elementi: era questa un’infallibile ricetta con la quale aveva l’umanità in pugno, senza chiedersi più cosa pensasse del genere umano.
Quando comincia una nuova serie, raccolti pochi elementi dalla realtà, spiando, per mimare, attraverso l’uso del tubo catodico, la vita della gente comune, l’invenzione di un nuovo intreccio esplodeva nel suo cervello con la fluidità di un espediente elementare, ottenuto dalla trasposizione della realtà vissuta su quella rappresentata e viceversa. Nel quotidiano, la sua mente registrava i comportamenti degli altri, staccandoli da quesiti filosofici sul perché di certe reazioni fulminee: si trattava di irrefrenabile bisogni che, più che di matrice morale, erano di matrice fisiologica. Da parecchi anni, ormai, la soap opera aveva apportato a tali bisogni ogni tipo di giustificazione comportamentale, anche alle più nefande bassezze, aggiungendo strati di auto-approvazione, proprio perché quegli stessi comportamenti venivano rappresentati da immagini globalmente condivise. La cosa più importante da curare, non era il soggetto della trama, ma la durata dei tempi di esposizione delle scene, in modo che lo spettatore, senza avere la possibilità di riflettere, venisse prima catapultato nel l’intrigo e subito dopo lasciato sospeso nel desiderio di vedere come sarebbe andata a finire. L’utente, rimasto privo del video, si creava un video “immaginativo” fino alla prossima puntata, congestionato un’aspettativa che si decongestionava in un attimo, non appena il programma sarebbe riandato in onda, senza accorgersi che era come se in onda andasse anche lui.
Quante volte il nostro writer aveva applaudito al suo lavoro, sentendo la gente che parlava dei personaggi della soap con un fervore tale da far pensare a una sorta di materializzazione! Ecco la prova che il suo lavoro era davvero ben fatto. Quei momenti magici spruzzavano il nettare della creatività nel suo cervello, mettendo in circolo quegli ormoni deputati, sempre gli stessi, a inventare i prossimi modelli standard, quei prototipi, che avevano il potere di saltare fuori dal monitor il camminare sottobraccio della gente, suggerendo in un orecchio il comportamento giusto. Ormai, facendo questo lavoro da anni, egli puntava dritto come un cane sulla preda, vivendo solo di odori, inconscio del fatto che, con questo giochino, di prede tra le mani lui ne aveva anche un’altra: se stesso, perché se l’avessero trasferito in un altro tipo di programma, forse, avrebbe dovuto accettare, quasi con disperazione, che ormai non sapeva più fare altro.